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Autoriciclaggio nel codice penale: da scrivere bene (lavoce.info, 9 ottobre 2014)

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In Commissione Finanze della Camera è in discussione un testo che potrebbe porre fine all’impunibilità dell’autoriciclaggio. Scopo, sanzionare l’inquinamento del sistema imprenditoriale con l’utilizzo di denaro o beni di provenienza delittuosa. I rischi di uno stravolgimento del testo

Cos’ è il reato di riciclaggio?

Il riciclaggio è il principale canale di occultamento dei profitti di ogni forma di criminalità anche organizzata ed economica.
Si sostanzia nell’insieme di operazioni volte a dare parvenza lecita a capitali la cui provenienza è in realtà illecita, rendendone così difficile l’identificazione ed eventualmente il recupero.
Come mostrato da Unger, Takats e Masciandaro, la misurazione del suo impatto economico è assai difficoltosa (numericamente paragonabile ad un’’industria’ il cui fatturato varierebbe dai 200-500 miliardi di dollari alla stima, ben più considerevole, di 2,85 trilioni).
Tramite il riciclaggio, il denaro sporco penetra l’economia legale e acquisisce legittimazione sociale.
Si pensi al boss del cartello della droga di Medellin, Pablo Escobar Gaviria che, all’apice del suo potere negli anni ‘80, si offrì di ripianare il debito pubblico colombiano.
Anche il rapporto di Europol Threat Assessment Italian Organized Crime  (qui il commento su ComplianceNet ndr ) del 2013 conferma che, grazie ai proventi riciclati dalle attività criminali, le mafie sussidiano le loro imprese operanti nei settori legali dell’economia, permettendo a queste di operare temporaneamente sotto-costo ed eliminare i concorrenti.

L’immunità dell’auto-riciclaggio

Ai sensi dell’art. 648 bis del codice penale, il reato di riciclaggio consiste nella condotta di chi, fuori dai casi di concorso nel reato, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto doloso, ovvero compie altre operazioni in relazione ad essi, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
La clausola di riserva in caso di concorso nel reato rende irrilevante, sotto il profilo penale, l’attività di riciclaggio attuata da chi occulta direttamente i proventi del delitto che egli stesso ha commesso, il cosiddetto autoriciclaggio: ciò significa che non commette reato, il riciclatore che “lava” i profitti del suo stesso crimine (per esempio il corrotto che investe la tangente o l’evasore che acquista una casa con il ‘nero’).
La ratio dell’esclusione dell’autoriciclaggio si fonda sulla cosiddetta consunzione: per chi ha partecipato alla realizzazione del fatto antecedente, il riutilizzo dei proventi illecitamente conseguiti rappresenta la naturale continuazione della condotta criminosa non idonea ad assumere un diverso e autonomo rilievo penale. Già tra il 2005 e il 2009, tuttavia, il Fondo Monetario Internazionale (pdf), il Gafi (Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale) e l’allora Governatore della Banca d’Italia Draghi (pdf) manifestarono perplessità e obiezioni sull’opportunità di mantenere nell’ordinamento penale italiano il ‘privilegio d’immunità dell’auto-riciclaggio’.
Inoltre, proprio le direttive europee determinano l’introduzione in Italia del d. lgs. 231/2007 contente disposizioni volte a prevenire l’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e che reca, all’art. 2, una seconda definizione positiva di riciclaggio priva di riserva analoga al 648 bis c.p. Ad animare ulteriormente il dibattito sul tema, è stata l’ampia convergenza consolidatasi a livello europeo e internazionale per la penalizzazione dell’autoriciclaggio, nonché l’introduzione di tale fattispecie delittuosa in ordinamenti non distanti dal nostro (quelli spagnolo e francese).
Le ragioni sistematiche che osterebbero all’introduzione di tale reato (oltre la non punibilità del post factum, soprattutto, evitare ingiustificati aggravi sanzionatori sugli autori dei reati principali e, insieme, un eccessivo aggravio del lavoro delle Procure) sembrano superabili con opportuni accorgimenti, privilegiando l’opportunità di rafforzare l’intera struttura dell’intervento legislativo ispirato alla rimozione di aree di impunità intollerabili.
La necessità di introdurre l’autoriciclaggio è emersa soprattutto di fronte a oggettive difficoltà in sede processuale, riconducibili all’esigenza di provare allo stesso tempo la consapevolezza dell’illecita origine del denaro sostituito o trasferito e la contestuale estraneità del soggetto agente alla commissione del reato da cui il denaro proviene.

Perché riformare?

Le ragioni a favore dell’auspicata riforma sono ormai parte del patrimonio giuridico comune che guarda alla trasparenza e affidabilità del sistema economico come a un bene primario.
Quanto agli strumenti, anzitutto, è opportuno limitare la punibilità all’autoriciclaggio che segue le più gravi forme di criminalità organizzata ed economica (traffico di stupefacenti su larga scala, corruzione, grande contraffazione ed evasione fiscale punibile penalmente), per non ingolfare le procure.
Altrettanto importante è dosare attentamente le sanzioni, prevedendo che l’entità della pena per l’autoriciclaggio trovi una qualche correlazione con quella per il reato-base, considerando anche l’introduzione di una sanzione diversa dalla tradizionale pena detentiva.
All’ipotesi di una norma onnicomprensiva (riciclaggio comprendente pure il self-laudering), infine, è forse preferibile l’introduzione di due fattispecie distinte. Il testo in discussione in Commissione Finanze della Camera, frutto del lavoro di una commissione di studio presieduta dal magistrato Francesco Greco, è una solida base per un intervento normativo.
Tuttavia, numerosi quotidiani anticipano la stesura di un testo governativo che stravolge l’originale attraverso la riduzione delle sanzioni ma, soprattutto, l’esclusione della punibilità per i reati presupposto puniti con una pena inferiore ai cinque anni di reclusione (esclusi sarebbero i reati di appropriazione indebita e infedele o omessa dichiarazione dei redditi) e il “comma del godimento”, per cui l’autore del reato non sarebbe punibile quando denaro, beni o altra utilità vengono destinati alla utilizzazione o al godimento personale, perché non c’è “ulteriore vantaggio o profitto”.
La vera finalità sottesa all’introduzione del reato di autoriciclaggio sarebbe, pertanto, quella di sanzionare l’inquinamento del sistema imprenditoriale con l’utilizzo di denaro o beni di provenienza delittuosa e dunque non il semplice “lavaggio” di denaro.
Se tale sarà il testo finale della norma, ben definito sarebbe il bene giuridico tutelato (l’ordine economico), ma povero l’effetto deterrente che sta anzitutto nell’impedire a chi delinque di godere il frutto dei suoi crimini. Inoltre, si graverebbe la magistratura inquirente di un arduo onere probatorio, insieme fornendo un’agevole giustificazione agli accusati (al corrotto, ad esempio, non risulterebbe difficile dimostrare di non aver investito proprio la mazzetta in attività di impresa, derivandone nuovo profitto, ma di averci acquistato, invece, una casa o una macchina). Infine si taglierebbe fuori la grande evasione fiscale poiché omessa e infedele dichiarazione sono, al massimo, punite con la detenzione fino a tre anni e quindi ricadrebbero nell’esclusione della punibilità.

*  Aggiornamento

Il testo della norma, modificato dalla commissione Finanze della Camera il 9 ottobre, entra in aula per la discussione e il voto nella seguente formulazione che inserisce nel codice penale dopo l’articolo 648-ter:
“Art 648-ter.1. — (Autoriciclaggio). - Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, sostituisce, trasferisce ovvero impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Fuori dei casi di cui ai commi prece- denti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.
La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.
Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648″.

Chi è Leonardo Borlini

Leonardo Borlini è Assistant Professor di Diritto dell’Unione Europea e docente di Advanced EU Law, Diritto delle Istituzioni Nazionali, International Trade Law e Internazionali e di Competition presso l’Università Bocconi. Laureato in Economia e Legislazione per l’Impresa presso l’Università Bocconi e in Giurisprudenza presso l’Università di Pavia.
Ha conseguito LL.M. alla Faculty of Law dell’University of Cambridge e il Dottorato di Diritto Internazionale dell’Economia presso l’Università Bocconi.

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